Enrico Gusella | saggi


Joseph Beuys: concettualizzazione e documentazione

 

"Buby Durini for Joseph Beuys" »  Silvana editoriale
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Noi piantiamo gli alberi e gli alberi piantano noi, poiché apparteniamo gli uni agli altri e dobbiamo esistere insieme.
                                                                                                 Joseph Beuys

La fotografia come documento, testo visivo ma, anche, oggetto estetico in grado di far comprendere percorsi e sviluppi di una storia delle arti, dentro un’esperienza che ha segnato il Novecento e che continua a essere l’espressione alta di un concetto filosofico e il pensiero di un uomo: Joseph Beuys.
Coniugare le sue vicende artistiche in un contesto visivo equivale a scandagliare attraverso varie discipline – performance, scultura e fotografia – i passi e le situazioni che l’hanno visto protagonista e che Buby Durini, nella sua veste di fotografo, ha immortalato allo scopo di documentare un quadro esaustivo dell’impresa artistica beuysiana.
L’idea principe che caratterizza l’opera del grande Maestro tedesco è fondata sulla rappresentazione di una concettualizzazione delle arti che diventa sistema, la forma di uno spazio temporale entro cui investire problematiche attuali, dove condividere forme della condizione umana e della questione ambientale.
La fotografia, del resto, è anche la rappresentazione di un “momento decisivo” – come ben teorizzò Henri Cartier Bresson – e di un istante di tempo che, immortalato, rinvia a nuovi momenti, ri-significa altre scritture, concepisce così nuovi pensieri e struttura forme nuove e diverse. Tutta l’opera di Beuys muove in questa direzione, ed è caratterizzata dalla ricerca di senso e dalla necessità di produrre oggetti di significazione, dentro un percorso in grado di coinvolgere, di volta in volta, nuovi attori e creare, a sua volta, nuovi interrogativi, trovando concrete risposte circa la creazione e la contestualizzazione di un oggetto, o la concettualizzazione dell’opera d’arte.

ph. Boby Durini © L’artista tedesco, più di qualsiasi altro nel corso del Novecento, ha svolto con particolare sensibilità e straordinaria efficacia una ricerca fondata su azioni e performance di singolare effetto e dai profondi significati.


Dare senso all’oggetto e a un’idea, allora, diventa la principale consegna “attoriale” in Beuys, la forma entro la quale sviluppare il proprio pensiero, rielaborare l’esperienza personale per tradurla in fatto collettivo, segno denotativo dell’atto e di una funzione: storicizzare, concettualizzare l’azione, il gesto, affinché la traduzione di essi diventi non solo riconoscibile, ma anche motivo di condivisione e interiorizzazione.
La fotografia di Buby Durini, lungo questa impresa, non è certo secondaria ma, anzi, risulta essere il punto di vista che traduce il fatto simbolico e l’azione, l’espressione concreta del carattere di una comunicazione persuasiva che Beuys, anche nella sua veste di performer, costruisce con pertinenza e criticità. E, proprio in questo senso, l’immagine fotografica diventa la diretta testimonianza dei fatti artistici, non solo in quanto documento, ma soprattutto quale segno, indice e funzione attoriale di un corpo entro il quale inscrivere forme e concetti del tempo, processi di coinvolgimento, in un rapporto costante tra testo visivo e testo verbale, fra azione e rappresentazione, fra gesto e parola.
Ma che cos’è il senso in Beuys? È la selezione di un ordine instabile che trova nel frammento visivo, ma soprattutto nella rappresentazione dell’atto, il rapporto tra testo e immagine, gesto e figura, forma e pensiero, in grado di costruire l‘effetto documentario. Ciò significa, anche, ricercare, all’interno del contesto performativo di Beuys, una testualità visiva che, nell’immagine fotografica, trova un suo processo di significazione, la rappresentazione di un oggetto o di una situazione che l’occhio di Buby Durini arresta nell’articolazione delle diverse fasi espressive, nella precisa condizione spazio-temporale volta a scandire luoghi, concetti e dinamiche relazionali. Del resto, è cosa delle più complesse e difficili la ripresa del lavoro di un artista, la sua caratterizzazione, l’indagine su di un segno attraverso un altro segno, cercando così di coniugare stili e messaggi diversi per dar corso alla rappresentazione dell’opera totale, l’opera di Beuys appunto.
“Quando per esempio uso il coniglio, che qui appare in carne e ossa, la mia intenzione non ha nulla a che fare con ciò, ma con l’espressione di trasformazione attraverso il materiale di nascita e morte...” È quanto ebbe a dire Beuys coinvolto com’era nel tema della cucina, uno degli ambiti a lui cari in relazione all’agricoltura e all’ambiente. Ma è proprio sul concetto legato alla nascita e alla morte che in fotografia si sviluppa, più che in qualsiasi altra pratica artistica, un livello di partecipazione alla vitalità, alla mortalità e alla vulnerabilità di una persona o di un oggetto.
Lo sottolinea, tra l’altro, con assoluta pertinenza, un famoso semiologo come Roland Barthes: “[…] Tale è il modo in cui la nostra epoca assume la morte: con l’alibi che nega lo smarrimento del vivente, di cui il fotografo è in un certo senso il professionista. Storicamente parlando, la Fotografia deve infatti avere qualche rapporto con la ‘crisi della morte’ che ha inizio nella seconda metà del XIX secolo; e per quanto mi riguarda preferirei che invece di situare continuamente l’avvento della Fotografia nel suo contesto sociale ed economico, ci si interrogasse anche sul rapporto antropologico tra la Morte e la nuova immagine. Infatti, bisogna pure che in una società la Morte abbia una sua collocazione; essa non è più (o è meno) nella sfera della religione, allora dev’essere altrove: forse nell’immagine che produce la Morte volendo conservare la vita.
Contemporanea della regressione dei riti, la Fotografia potrebbe forse corrispondere all’irruzione, nella nostra società moderna, di una Morte asimbolica, al di fuori della religione, al di fuori del rituale: una specie di repentino tuffo nella Morte letterale. La Vita / la Morte: il paradigma si riduce a un semplice scatto: quello che separa la posa iniziale dal rettangolo di carta stampata”. (R. Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, Torino 1980, p. 93). Beuys, tra l’altro, con la morte ha avuto un rapporto diretto, in quanto essa si è dimostrata essere una presenza vicina, toccante. Infatti, pilota nel 1943 della Luftwaffe, fu colpito dalla contraerea russa e precipitò nel mezzo di una tormenta di neve: “[…] Se non fosse stato per i Tartari oggi non sarei vivo […] ricordo delle voci che dicevano voda (acqua), poi il feltro delle loro tende e il denso pungente odore del formaggio, del grasso e del latte. Mi ricoprirono il corpo di grasso per aiutarlo a rigenerarsi e lo avvolsero nel feltro per isolarlo e mantenerlo caldo”.
Il contatto con la morte, ma anche l’elaborazione del lutto, espressioni che sovente ricorrono nella relazione con l’immagine fotografica, altro non sono che segni che organizzano attivamente la temporalità, ne scandiscono concettualmente la forma e il contenuto, dando luogo a sequenze narrative che consentono di prendere consapevolezza di sé, della realtà circostante e del significato di un’azione o, meglio, delle azioni. È quanto sviluppa il lavoro analitico di Buby Durini circa l’opera e l’indagine di Beuys. Documentare l’azione e il gesto, così come la funzione attoriale dell’artista tedesco diventa la cifra di un autoritratto certamente complesso ed esaustivo, circa la comprensione di fatti artistici, ma anche personali, volti alla divulgazione di una poetica che investe forti valori come quelli legati all’ambiente e alla natura da un lato, alla ricerca antropologica dell’uomo e alla sua produzione di senso dall’altro.
La fotografia, quindi, quale forma di un’impronta prende corpo nell’opera di Beuys, non solo attraverso la ripresa delle proprie e diverse sequenze attoriali e performative, le quali si caratterizzano come espressione di un’idea politico-sociale dell’arte ma, anche, attraverso un’estetica della vita quotidiana che investe le complesse forme degli oggetti e i loro processi di significazione.
Sotto questo profilo la fotografia di Buby Durini non solo è rappresentazione del pensiero beuysiano, ma dialogo concreto, incontro e narrazione di un’avventura che segna un’epoca e una storia che, nel tempo, ripercorre le vicende e le passioni ideali e artistiche di un uomo: Joseph Beuys.